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Il clero capitolare e la Madonna delle Grazie. Note sulla devozione alla Vergine a Ruvo di Puglia

Internamente protetta dalle mura, la città di Ruvo di Puglia, nel corso del Seicento, sentì il bisogno di proteggere anche l’esteso paesaggio agrario che la cingeva e di assicurare ristoro spirituale ai numerosi viandanti che  raggiungevano la città dopo diverse ore di cammino. Questo compito fu affidato dal Capitolo Cattedrale a tre santuari extra moenia: Calentano, Madonna delle Grazie e Madonna dell’Isola, accomunati dalla presenza di immagini affrescate della Madre di Dio che potessero ben risolvere lo spinoso problema di protezione spirituale.

Tra le devozioni mariane ancora oggi molto sentite in città, rientra senza dubbio quella alla Madonna delle Grazie venerata nell’omonimo santuario a poca distanza dal centro cittadino. Il tempio custodisce un’immagine intensa della Virgo lactans, in cui Maria è intenta a dispensare grazie attraverso il latte che sgorga dal suo seno. Il frammento, parte di un disperso affresco più grande, venne trasportato nella chiesetta dall’originaria cappellina e fu posto al centro di una macchina illusionistica.

Il grande altare affrescato, recentemente restaurato, mostra l’immagine della Vergine sorretta da stuoli di putti e angioletti e sembra essere coevo dell’edificazione del tempio. In una nota di Francesco Lojodice del 1929 si legge che “Il canonico D. Rocco Gramegna, Cappellano della Madonna delle Grazie, fece fare l’attuale portale di tavole; ed essendo pericolante il grande frontespizio in legno dorato del 1646 retro e soprastante l’altare maggiore, fu abbattuto e non volendo riapparve l’affresco riproducente integralmente il distrutto(1). Il Capitolo, infatti, favorì sempre la devozione alla Vergine, istituzionalizzandone la festa e promuovendo numerosi interventi di abbellimento del tempio. Nel 1647 il collegio deliberò di ornare l’immagine sacra con un “incasamento” ligneo dorato ricco di fregi e figure simboliche, di minore costo e di più bell’impatto visivo(2). L’incasamento, quindi, nascose per secoli la preesistente decorazione a fresco che è riemersa solo nella prima metà del Novecento quando la macchina lignea fu eliminata e dispersa.

Il culto alla Vergine dispensatrice di Grazie non si limitò al solo santuario extra moenia ma si estese anche ad altri luoghi di culto. Un’immagine della Vergine era posta, insieme a quella di san Benedetto, su un altare della chiesa di San Matteo nell’antico monastero benedettino(3), un’altra era presente in una cappella della chiesa di San Domenico mentre nella Cattedrale cittadina fu eretta una cappella familiare sotto lo stesso titolo.

Come riporta una lapide(4) un tempo posta nel muro interno della Cappella dedicata alla Madonna delle Grazie, l’altare omonimo era di patronato di Jacobo de Buttinis e fu eretto humili forma a spese di don Giuseppe Coppa nel 1728.

In primo piano, ciò che resta della cappella, oggi corridoio di accesso all’ipogeo.

La cappella si apriva nella seconda campata della navata destra della chiesa ed è oggi ridotta, con le altre di quella navata, a costituire il corridoio di accesso all’ipogeo. La cappella doveva avere una ricca decorazione barocca irrimediabilmente perduta ma di cui ancora oggi si intravedono i resti tra quanto rimasto in situ. Secondo quanto riferisce una pianta antecedente al 1935(5), la cappella di Santa Maria delle Grazie ospitò per un certo periodo anche il gruppo statuario dei santi Medici Cosma e Damiano(6), realizzato dalla scultore ruvese Giuseppe Pellegrini nel 1911.

Nella cappella era esposta una tela della fine del XVII secolo raffigurante S. Maria delle Grazie opera di un ignoto pittore locale.

La tela, segnalata anche in un inventario del 1811(7), raffigura la Madonna secondo la diffusa iconografia post conciliare: la Vergine, in un ampio manto azzurro, ha un abito rosso scuro bordato d’oro e regge il Bambin Gesù che ha le mani incrociate sul petto. È assente qualsiasi nudità affinchè, secondo i padri conciliari, i fedeli non distogliessero l’attenzione dalla preghiera e quindi il potere salvifico della Vergine non è più collegato direttamente al latte ma è affidato al solo rapporto “spirituale” tra la Vergine e il Bambino.

Dal 26 febbraio 1950 questa immagine fu portata in processione in città nella cosiddetta Peregrinatio Mariae. Il quadro sostò per tre giorni in ogni parrocchia della città dove la Vergine veniva onorata con solenni celebrazioni. La sera in cui, proveniente da san Giacomo al corso, l’icona fece ingresso nella chiesa del SS. Redentore, parlò in Piazza Castello S.E. Rev.ma mons. Marcello Mimmi, Arcivescovo di Bari. Ogni sera la Madonna fu portata in processione nelle vie della parrocchia, e tanto bene fecero le relazioni e la calda parola del rev.mo P. Vincenzo M. Caprio, barnabita, e dell’avv. Guido Maffucini da Trani(8). Nell’ultimo giorno di Peregrinatio, mentre il quadro rientrava in Cattedrale, si ebbe notizia della nomina di Mons. Aurelio Marena a Vescovo della città(9).

Fonte: AA.VV., La Chiesa del SS. Redentore in Ruvo, Terlizzi 2003

L’opera, dopo l’eliminazione delle cappelle, venne per alcuni periodi posizionata nell’unica cappella superstite (quella attualmente dedicata al Sacro Cuore) per poi essere collocata nei locali della curia. Nel febbraio 2016 è stata esposta in Cattedrale sull’ultima colonna del lato sinistro, al limitare dell’area presbiteriale. Ciò è avvenuto in occasione dell’ingresso solenne nella Cattedrale di Ruvo di Mons. Domenico Cornacchia che, in quell’occasione, volle tributare un omaggio floreale alla Vergine più “famosa” della città.

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Note

Note
1 F. Lojodice, Appunti sparsi. L’autore della nota manoscritta era presente al momento della demolizione della cona lignea. Si ringrazia Cleto Bucci per aver fornito questa nota inedita e per aver acconsentito alla pubblicazione della stessa.
2 F.A. Bernardi, Il Santuario della Madonna delle Grazie. Note storiche (secoli XVI – XX), in Il Santuario della Madonna delle Grazie a Ruvo di Puglia, a cura di C. Bucci, Terlizzi 2012, p. 27-28
3, 7 Archivio di Stato di Bari, Culto e dipendenze – Busta 25 fasc. 765, Stato dimostrativo de’ quadri, statue, bassirilievi, ed altri oggetti d’arte …. esistenti in questa Comune, ms. dicembre 1811
4 La lapide, che al momento necessita di restauri, è stata per lungo tempo abbandonata nell’atrio prospicente la chiesa dell’Annunziata
5 S. Summo, San Biagio, patrono di Ruvo e della Diocesi: una radicata tradizione popolare, in Studi Rubastini. In nomine Sancti. Patroni e Protettori a Ruvo di Puglia, a cura di C. Bucci, Terlizzi 2016, p. 27
6 Alcuni riferiscono che per un certo tempo la statua fu custodita nel Cappellone del Santissimo Sacramento, abbattuto nel 1935. Si veda F. Di Palo, La chiesa e il culto dei Santi Medici a Ruvo, Terlizzi 2001, p. 54
8 AA.VV., La chiesa del SS.Redentore in Ruvo, Terlizzi 2003, p. 92
9 V. Pellegrini, Ruvo Sacra, Molfetta 1970, p. 171

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